Intervento del segretario generale dell’Unione Artigiani di Milano e di Monza-Brianza, Marco Accornero, sulle pagine del quotidiano Il Giorno.
IL CONTO è di 19,5 miliardi di euro. Da pagare entro fine anno per evitare che, con la prossima legge di bilancio, scattino gli aumenti dell’Iva dal 10 al 13% e dal 22 al 25%, secondo quanto accettato sottoscrivendo in Europa le clausole di salvaguardia sul nostro debito pubblico.
Con una spesa corrente, interessi esclusi, destinata ancora a crescere i margini di manovra sono ridottissimi, e il dibattito fra i pro e i contro all’accrescimento percentuale dell’imposta sul valore aggiunto ha riproposto in tutta la sua attuale drammaticità lo spinoso argomento. Giova ricordare che a oggi l’aumento di un solo punto percentuale dell’aliquota Iva ridotta costerebbe agli italiani 2 miliardi, 4 per quella ordinaria.
Del resto, la Ue insiste nel chiederci di spostare l’asse fiscale verso imposte indirette, come l’Iva appunto, sgravando il peso di quelle dirette, come per esempio quelle sul lavoro. Da qui l’ipotesi trapelata dal Ministero dell’economia, di intervenire ritoccando all’insù l’Iva in cambio di riduzione del cuneo fiscale.
L’idea non ci trova concordi, perché rischia di mettere in secondo piano la principale delle azioni di risanamento del debito pubblico che a nostro parere appare ancora troppo timida: la spending rewiev sulla spesa improduttiva della pubblica amministrazione. In secondo luogo, osserviamo che l’operazione da un lato farebbe “respirare” imprese e dipendenti, grazie ai vantaggi economici di alleggerimento del carico fiscale sul lavoro, ma andrebbe ad intaccare, dall’altro lato, fasce deboli come pensionati, disoccupati, inattivi che non beneficerebbero degli sgravi, ma subirebbero l’aumento generalizzato dei prezzi. Tutte persone destinate ad andare a rafforzare la già alta domanda di assistenza pubblica, alla quale i Comuni non possono che rispondere aumentando i tributi locali.
Inoltre, in un mercato interno stagnante, l’aumento dell’Iva inciderebbe negativamente sui consumi e, a stretto giro, finirebbe per ricadere come un boomerang sui bilanci delle aziende, e quindi sull’occupazione. A prima vista appare ineludibile giungere a un aumento dell’Iva, magari mitigato nella sua portata attraverso tagli a deduzioni e detrazioni fiscali. L’unica strada per mantenere invariata l’imposta sui consumi, rilanciandoli magari anche grazie a una parallela azione di sgravio del cuneo fiscale, è quella di intervenire con decisione sulla spesa pubblica improduttiva.
Tutti temi ai quali guardare, prima di operare interventi sulle spalle di cittadini e imprese.