QUI LA PARTE 1 DELL’ARTICOLO
L’ARTIGIANO È SEMPRE RESPONSABILE
Proseguendo nell’analisi delle caratteristiche dell’impresa artigiana trattata nel precedente articolo, la legge sembrerebbe imporre l’assunzione della piena e diretta responsabilità dell’impresa da parte di chi ne è il titolare “con tutti gli oneri e i rischi inerenti alla sua direzione e gestione” (art. 2, comma 1, della legge-quadro).
Anche qui ci troviamo di fronte a un linguaggio tipicamente politico-sindacale, in quanto, la responsabilità non si assume, ma si potrebbe dire che cade addosso, essendo una mera conseguenza dello svolgimento in misura prevalente del proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo.
È questo uno dei punti focali della legge-quadro, sul quale vi è ampio dibattito, riguarda il lavoro che l’imprenditore artigiano deve svolgere nel processo produttivo: secondo taluni, dev’essere prevalente rispetto a quello svolto, sempre nell’ambito dell’impresa artigiana, ad altri fini, quali ad esempio quello di tipo dirigenziale, gestionale e amministrativo, in cui il giudizio di prevalenza non deve essere frutto di un raffronto fra le attività esercitate nell’ambito dell’impresa e quelle eventualmente svolte al di fuori dell’impresa. Tuttavia, si obietta, la locuzione “processo produttivo”, non fa riferimento esclusivo all’attività di produzione di beni, ma anche al “processo produttivo” di servizi e, a conferma dell’utilizzo di tale terminologia, si fa riferimento all’art. 2195, comma 1, n. 1, c.c., ove si parla di “attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi”.
In conclusione, il requisito consiste “nello svolgimento, in misura prevalente, da parte dell’artigiano, del lavoro (…) nell’attività in cui consiste l’impresa artigiana esercitata” è una conferma di tale tesi.
La partecipazione dell’artigiano a imprese non artigiane sarebbe invece libera, purché non gli impedisca di lavorare prevalentemente nell’impresa artigiana.
COSA VUOLE DIRE LAVORO “ANCHE MANUALE”?
Già sotto il vigore della L. n. 860/1956 ci si è interrogati sul significato dell’inciso “anche manuale”; alcuni, infatti, lo hanno interpretato in senso concessivo, equivalente ad “anche se solo manuale”, mentre per altri l’inciso doveva essere interpretato nel senso che fosse necessaria la partecipazione dell’imprenditore al lavoro manuale.
Quest’ultima opinione, ancor oggi, risulta prevalente pur ammettendosi che il lavoro manuale, anche se continuativo, possa essere secondario rispetto a quello di direzione e organizzativo e che la manualità comprenda qualunque attività di tipo fisico, compresi la guida o il controllo tecnico di una macchina o di un apparato elettrico o elettronico.
Quello che è certo è che la legge quadro per l’artigianato, ritiene indispensabile che il titolare dell’impresa espleti un lavoro di tipo “anche manuale”, non essendo sufficiente che svolga un’attività di tipo amministrativo[1]; non è invece necessario che l’artigiano lasci la propria “impronta” nella sua opera: questo requisito, infatti, non è richiesto dalla legge dato che, come vedremo in seguito, l’attività dell’impresa artigiana può anche essere quasi totalmente automatizzata.
Mentre la Legge del 860/1956 (art. 1, comma 1, lett. b), indicava un’organizzazione dell’impresa artigiana basata sulla prevalenza del lavoro dell’artigiano e di quello dei suoi familiari, nella legge-quadro per l’impresa artigiana individuale scompare ogni riferimento alla prevalenza del lavoro dell’artigiano su quello altrui, mentre esso resta nella disciplina delle società artigiane (in nome collettivo e cooperativa) nelle quali i partecipanti devono essere necessariamente artigiani.
Non sarebbe invece previsto che il lavoro dell’imprenditore artigiano sia prevalente rispetto a quello dei suoi collaboratori per cui vi è chi, partendo dal problema relativo all’unitarietà, o meno, della figura del piccolo imprenditore, afferma che nel nostro ordinamento esistono due figure concentriche di artigiano: all’interno della prima figura, disciplinata dalla legge-quadro, sarebbe individuabile una seconda categoria, più ristretta, per cui l’artigiano sarebbe piccolo imprenditore soltanto quando l’attività di impresa individuale sia svolta con prevalenza del lavoro suo e dei suoi familiari sul lavoro dei dipendenti.
Queste ultime affermazioni risentono del momento storico in cui il problema si è posto, e cioè quello in cui si cercava di individuare il piccolo imprenditore, in quanto non soggetto a fallimento, ma il problema principale, in tema di prevalenza, è determinato dalla disposizione dell’art. 3, comma 2, della legge-quadro, secondo la quale “è artigiana l’impresa che (…) è costituita ed esercitata in forma di società, anche cooperativa, escluse le società per azioni e in accomandita per azioni, a condizione che la maggioranza dei soci (…) svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale.
Anche nell’ambito dei sostenitori di tale tesi, però, vi è chi afferma che nell’impresa artigiana il lavoro che deve essere prevalente sul capitale non è soltanto quello dell’imprenditore (o quello della maggioranza dei soci), ma il lavoro dell’imprenditore sommato a quello dei suoi collaboratori.
Secondo un’altra opinione, la norma prevede che il lavoro dell’imprenditore artigiano sia prevalente nell’ambito della sua attività personale, ma non necessariamente nell’attività d’impresa; ma se davvero si deve fare un confronto, esso dovrebbe essere effettuato fra termini omogenei, e lavoro e capitale certo non lo sono, per cui esattamente è stato osservato che un raffronto fra lavoro (nel senso di costi?) e giro d’affari, o investimenti in beni strumentali, risulterebbe scarsamente significativo, per cui è stata tratta la conseguenza che debba trattarsi di un principio di preminenza “di funzione, quindi da pensarsi in termini qualitativi, non quantitativi”, o per dirla con le parole di altri, “il termine qualitativo di riferimento non può allora che essere l’oggetto dell’attività stessa: intendendosi per prevalente ciò che attiene all’esercizio primario dell’attività, secondario ciò che ad essa è strumentale, prescindendo dai rispettivi valori economici”, ragione per cui, ad esempio, l’orafo sarà sempre artigiano, a prescindere dai costi sostenuti per l’acquisto della materia prima.
IMPRESE ARTIGIANE “NON DEL TUTTO AUTOMATIZZATE” PER LEGGE
Una caratteristica ulteriore dell’attività artigiana si desume dall’art. 4, comma 1, lett. b), della legge-quadro, che individua i limiti dimensionali per le imprese artigiane che lavorano in serie con lavorazione “non del tutto automatizzata”.
La locuzione sostituisce quella della “non completa meccanizzazione”, contenuta nella l. n. 860/1956.
Si ritiene pertanto, che non possano essere considerate artigiane le imprese che offrono servizi non personali, consistenti nell’uso di beni, come, per esempio, il noleggio di auto senza conducente.
Nell’art. 3, comma 1, della legge-quadro segue una nutrita elencazione in senso negativo: “(…) escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie all’esercizio dell’impresa”.
L’esclusione delle attività agricole non sembra porre particolari problemi, così come l’esclusione delle attività di intermediazione nella circolazione dei beni, che sono quelle proprie del commercio; le attività ausiliarie di queste ultime vanno individuate in quelle esercitate da agenti di commercio, agenti marittimi, mediatori, ecc.
Un problema è stato sollevato invece in ordine all’individuazione delle “attività di prestazione di servizi commerciali” che, si sostiene, non potrebbero rientrare nel novero delle imprese artigiane: a parte la considerazione che il termine “commerciale” non può essere inteso in senso tecnico-giuridico, secondo alcuni le attività escluse dall’ambito artigiano sarebbero quelle rientranti nel c.d. terziario avanzato, cioè quelle attività di servizi[2] come quelle a prevalente contenuto intellettuale quali ricerche di mercato, assistenza ai clienti, scelta dei mezzi di comunicazione, selezione del personale, ecc.
Anche la produzione in serie di prodotti (es. confezionamento, abbigliamento), a rigore, non dovrebbe rientrare nell’ambito dell’artigianato sebbene il concetto di produzione in serie non fa riferimento alle caratteristiche del prodotto ma al tipo di sistema produttivo utilizzato, nel senso che il prodotto in serie è quello per il quale sia determinante l’uso della macchina, pur essendo comunque necessario l’intervento dell’uomo, oltre che per la conduzione dei macchinari anche per l’effettuazione diretta di alcune fasi della lavorazione.
Del resto, anche nell’ambito delle lavorazioni artistiche e tradizionali, nonché dell’abbigliamento su misura, l’art. 1, comma 1, lett. a), punto 1, del d.p.r. 25 maggio 2001, n. 288, ammette lo svolgimento di singole fasi meccanizzate o automatizzate di lavorazione[3] Tesi, peraltro, non unanimemente condivisa, in particolare da chi svaluta il contenuto di “manualità” del lavoro artigiano, anche in considerazione delle dimensioni che l’impresa artigiana può assumere.
Le attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, in base alla vigente normativa, rientrano tra le attività di cui al n. 2 dell’art. 2195, comma 1, c.c.; saranno imprese artigiane, però, e come tali tenute all’iscrizione nell’apposita sezione speciale, quelle che, nel luogo di produzione, esercitino la vendita al pubblico dei soli alimenti o bevande che costituiscono oggetto della loro produzione, esempi tipici sono quelli delle gelaterie che producono il gelato, delle pasticcerie, delle pizzerie al taglio, delle gastronomie e delle rosticcerie che vendono i propri prodotti nei locali di produzione, o annessi agli stessi.
Ci si è chiesti, infine, se l’ultima locuzione dell’elenco in esame, “salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie all’esercizio dell’impresa”, sia riferita soltanto alla somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, o vada anche riferita alle altre attività.
Quest’ultima tesi pare preferibile, tenuto anche conto del plurale “siano” utilizzato dalla norma, che non può essere riferito alla sola somministrazione.
Se a prima vista può apparire netta la distinzione fra esercizio delle professioni intellettuali e svolgimento dell’attività di impresa, approfondendo la tematica e prendendo in esame soprattutto alcune professioni intellettuali sviluppatesi in tempi recenti, è possibile rilevare che il limite di demarcazione non è sempre chiaro.
Del resto, non sempre le professioni intellettuali sono “attività protette”, subordinate all’iscrizione all’albo o all’elenco professionale, quando l’iscrizione stessa è condizione per l’esercizio della professione.
Per le professioni intellettuali “non protette”, infatti, non esiste un criterio formale di distinzione dall’attività di impresa e tutti i criteri sostanziali presi in esame si prestano a valutazioni equivoche e non dirimenti, sicché pare condivisibile l’opinione di chi afferma che si debba procedere prendendo in esame ogni singolo caso.
In primo luogo vi è una nutrita serie di attività per lo svolgimento delle quali non è previsto il possesso di requisiti professionali ne l’iscrizione in appositi albi, elenchi, registri.
In tali ipotesi è in genere la legge che regola tali attività a precisare se possono essere qualificate come attività di impresa, anche artigiana, o meno.
Ad esempio, le attività di odontotecnico e di ottico rientrano normalmente nell’attività di impresa, e spesso sono esercitate da imprese artigiane, mentre per altre attività, quali l’elaborazione di dati e l’assistenza informatica, non sempre risulta agevole la classificazione.
Da quanto detto sin qui, si deve prendere atto della vitalità ed espansività dell’impresa artigiana, non più delimitabile negli angusti limiti degli antichi mestieri “fatti con le mani” ma aperta alle più recenti espressioni della moderna libera imprenditoria, riconducibile nel più ampio a qualsiasi processo produttivo.
Avv. Renato Ragozzino
Legal Team Unione Artigiani
[1] Cfr. Cass., 9 luglio 2019, n. 18394, Cass., 22 dicembre 2011, n. 28431
[2] Cass., 28 ottobre 2009, n. 20943
[3] Cass., 4 febbraio 2014, n. 2463