“NON HO CAPITO CHE LAVORO FAI”

Se in tempi recenti è invalsa l’abitudine di adottare improbabili e roboanti definizioni anche per indicare antiche professioni, è innegabile che la crescita esponenziale di “nuovi mestieri” a cui è stato dato un nome, in italiano, in inglese e anche in un linguaggio – che in queste righe chiameremo pseudo-inglese – corrisponde all’esigenza di attribuire una nomenclatura a nuove competenze che hanno dato l’avvio a attività innovative che non hanno corrispondenza nel lessico tradizionale.

E’ proprio questo rinnovato impulso espansivo dei “nuovi lavori” che si affacciano al mondo dell’imprenditoria che riportano al centro del dibattito giuridico il problema  della corretta collocazione dell’imprenditore nel panorama normativo del lavoro autonomo.

 

“ARTIGIANO? IN CHE SENSO?”

Se già la L. 25 luglio 1956, n. 860, definiva l’impresa artigiana, per cui l’imprenditore artigiano veniva individuato come il soggetto esercente l’impresa artigiana, nella successiva L. 8 agosto 1985, n. 443 (Legge quadro per l’artigianato), all’art. 3 viene offerta la definizione di impresa artigiana come quella che: “è esercitata dall’imprenditore artigiano […] abbia per scopo prevalente lo svolgimento di un’attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie all’esercizio dell’impresa.”

Se però ci si aspetta di trovare chiarezza nel tenore delle norme citate, le speranze sono destinate a rimanere disattese dal momento che, con evidente tautologia, l’art. 2 della legge quadro, si limita a definire  “imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana”.

Dato che la tecnica legislativa non brilla certo per chiarezza, spetta all’interprete cercare di ricostruire dall’insieme del quadro normativo vigente, gli elementi che caratterizzano, rispettivamente, l’imprenditore artigiano e l’impresa artigiana: in primo luogo va rilevato che, secondo l’opinione prevalente, l’impresa artigiana appartiene al genus delle imprese commerciali, rientrando nella definizione dell’art. 2195, comma 1, n. 1, c.c.; l’artigiano infatti dev’essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2082 c.c. e, quindi, l’attività che svolge dev’essere organizzata “prevalentemente col lavoro proprio o dei componenti della famiglia” (a differenza dell’imprenditore non piccolo che ricorre prevalentemente alla manodopera di terzi).

 

L’ARTIGIANO E L’IMPRESA IN FAMIGLIA

L’artigiano dunque è un piccolo imprenditore che opera personalmente nell’azienda e può avvalersi dell’aiuto dei propri familiari (chiamati “coadiuvanti familiari”) e avere o meno dei lavoratori alle proprie dipendenze ma il suo personale apporto al lavoro dev’essere preponderante e distintivo, rispetto ad altre attività.

A differenza del professionista, che esercita in proprio una libera professione intellettuale per la quale di norma è prevista l’iscrizione ad un albo, ordine, registro o elenco riconosciuto dallo Stato, l’artigiano dev’essere iscritto alla sezione speciale del registro delle imprese della Camra di Commercio ( ove vengono iscritte anche quelle imprese esercitate dal solo imprenditore e con scarsissimi mezzi)

Il requisito dell’organizzazione dell’impresa, in effetti, costituisce l’elemento distintivo tra la figura dell’imprenditore e quella del semplice lavoratore autonomo; caratteristica dell’impresa artigiana è, come detto, l’ “esercizio personale”; perciò in passato si è ritenuto che l’impresa artigiana non potesse avere una sedi secondarie (art. 2197 c.c.), poiché una sede secondaria presuppone la presenza dell’imprenditore in un luogo diverso dalla sede dell’ impresa.

La prassi ammette, invece, che un’impresa artigiana possa avere più unità locali.

A nostro avviso la contrapposizione fra le due figure riguarda solo la distinzione fra lavoro autonomo e piccola impresa (art. 2083 c.c.), per cui il problema per l’impresa artigiana si stempera molto, ben potendo l’artigiano (es. acconciatore) svolgere la propria attività alternando la propria presenza in due unità locali; il problema, ovviamente, non si pone per le società con più soci (artigiani) partecipanti al lavoro, che possono dirigere separatamente il personale, ciascuno in una unità locale.

La professionalità è un elemento che deve caratterizzare tutti gli imprenditori: infatti, secondo l’art. 2082 c.c.,“è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica (…)”.nel senso che per professionalità si intende la continuità, la abitualità dell’esercizio dell’attività.

Con riferimento all’imprenditore artigiano, ci si è chiesti se l’avverbio “professionalmente” costituisca un semplice pleonasmo o se esso debba essere interpretato in un senso diverso e più pregnante.

 

FAI L’ARTIGIANO? SOLO SE SEI DAVVERO BRAVO

Nell’art. 2, comma 4 della legge-quadro è stabilito che  “l’imprenditore artigiano, nell’esercizio di particolari attività che richiedono una peculiare preparazione ed implicano responsabilità a tutela e garanzia degli utenti, deve essere in possesso dei requisiti tecnico-professionali previsti dalle leggi statali”.

L’art. 3, comma 5,  dispone che “l’imprenditore artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana”; a tale proposito si ritiene che l’imprenditore artigiano, a differenza degli altri tipi di imprenditore, sia sostanzialmente assimilabile al libero professionista: come a quest’ultimo, infatti, anche all’artigiano viene richiesta una particolare perizia nell’esecuzione dell’opera o della prestazione, che comporta una valutazione più rigorosa del requisito della diligenza: non è, infatti, sufficiente che nel suo lavoro ponga la ordinaria diligenza ma una diligenza qualificata, commisurata alla perizia che la specifica professione richiede.

Secondo tale tesi, analogamente alle specifiche competenze richieste al professionista, anche l’artigiano, deve essere in possesso delle conoscenze scientifiche e tecniche necessarie per l’esercizio della propria attività, e ciò per una adeguata tutela della clientela; a sostegno di tale assunto vengono citati i già ricordati artt. 2, comma 4, e 3, ultimo comma, della legge-quadro, per i quali “l’imprenditore artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana” perché proprio tale divieto viene collegato con l’impossibilità di prestare in più di un’impresa la propria attività professionale in ragione della la particolare attenzione e diligenza collegata alla personalità delle conoscenze tecniche e dell’esperienza richieste.

Tuttavia, a ben vedere, il riferimento all’art. 2, comma 4, potrebbe fare propendere anche per la tesi opposta: infatti, se per l’accesso a determinate attività è previsto che il possesso di particolari competenze professionali venga previamente accertato e riconosciuto con atto amministrativo, in sede di elaborazione della legge-quadro non è stata accolta l’introduzione della “patente di mestiere”, consistente in un generalizzato controllo amministrativo preventivo sul possesso, da parte di tutti gli artigiani, di specifici requisiti professionali, riferiti alle attività dagli stessi svolte.

Al termine di questa disamina, riteniamo preferibile intendere che l’avverbio “professionalmente” usato dal legislatore costituisca un semplice pleonasmo, frutto di esprimersi ridondante e impreciso abusato dal legislatore, sicché l’accesso all’attività artigiana è libero, fatta eccezione per l’esercizio delle “particolari attività” previste dall’art. 2, comma 4.

Resta però la questione della diligenza richiesta all’artigiano nella prestazione o nell’opera che, come detto,  è una diligenza qualificata, superiore a quella che viene richiesta ad una persona comune (c.d. diligenza del buon padre di famiglia) ed è commisurata al lavoro che lo stesso deve eseguire.
Ciò comporta che – di norma –  l’artigiano risponda per negligenza, imprudenza e imperizia anche nelle ipotesi di colpa lieve, atteso il maggior grado di affidamento che si presume in capo allo stesso.

 

QUALE TIPOLOGIA DI IMPRESA PER L’ARTIGIANO?

Con riferimento,invece, alla locuzione “in qualità di titolare” in riferimento all’artigiano, si ritiene che essa sia dovuta al linguaggio atecnico che caratterizza tutti gli articoli della legge-quadro e che è determinato dall’origine politico-sindacale del testo 8 agosto 1985, n. 443: non sembra infatti ipotizzabile che la locuzione in oggetto sia da ritenersi tassativa, dal momento che l’impresa artigiana può essere esercitata da:

  • imprese individuali: il titolare deve esercitare personalmente e professionalmente l’attività artigiana prestando la propria attività lavorativa prevalente nell’impresa;
  • società in nome collettivo(snc): la maggioranza dei soci (uno in caso di due) deve svolgere in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo;
  • società in accomandita semplice(sas): tutti i soci accomandatari devono svolgere in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo;
  • società a responsabilità limitata unipersonale(srl): il socio unico lavora personalmente e manualmente nell’impresa;
  • società a responsabilità limitata pluripersonale(srl): la maggioranza dei soci (uno nel caso di due) deve svolgere in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e detenere la maggioranza del capitale sociale e degli organi deliberanti della società. Le srl pluripersonali hanno la facoltà e non l’obbligo dell’iscrizione;
  • cooperative a responsabilità limitata e illimitata(scarl): la maggioranza dei soci deve svolgere in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo;
  • consorzi e società consortili: almeno i 2/3 dei consorziati devono essere titolari di una impresa artigiana. Le imprese artigiane devono detenere la maggioranza negli organi deliberanti. I consorzi e le società consortili, anche in forma di cooperative costituite fra imprese artigiane vengono iscritti in apposita sezione separata.

Non è ammesso, in nessun caso, l’esercizio dell’impresa artigiana per interposta persona.

Quanto ai requisiti soggettivi richiesti all’imprenditore artigiano, si annoverano:

  • la cittadinanza italiana o di uno dei Paesi dell’Unione Europea. Per i cittadini extracomunitari è necessario il permesso di soggiorno rilasciato per lavoro autonomo (anche in attesa di occupazione) o per motivi familiari (ai fini del permesso di soggiorno i cittadini dei Paesi aderenti all’EFTA sono equiparati ai cittadini comunitari);
  • avere raggiunto la maggiore età;
  • lo svolgimento del proprio lavoro manuale nel processo produttivo;
  • non essere lavoratore subordinato a tempo pieno (è consentito il lavoro dipendente a part-time non superiore al 50% dell’orario previsto dal contratto di lavoro del settore);
  • il possesso dei requisiti tecnico-professionali previsti dalle leggi statali nel caso di particolari attività (ad esempio : imprese di pulizia, impiantisti, autoriparatori, acconciatori, estetisti) da parte del titolare e/o di almeno un socio lavorante.

 

Avv. Renato Ragozzino

Legal Team Unione Artigiani

 

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