(PARTE I)
a cura dell’Avv. Renato Ragozzino
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Legal Team di Unione Artigiani
Per abitudine si pensa all’impresa e all’azienda come fossero sinonimi ma non è così.
Mentre l’impresa è l’attività economica che viene svolta, l’azienda è quel complesso di beni organizzati che, unitamente alla forza lavoro, concorre alla produzione del profitto, che è lo scopo dell’esercizio dell’impresa.
Così, se normalmente l’imprenditore trae l’utile economico dall’esercizio diretto dell’impresa attraverso l’organizzazione dell’azienda, può anche ricavare detto utile dall’affitto dell’impresa medesima, analogamente a quanto può fare chi guida personalmente il proprio taxi e chi invece lo “affitta” ad altri per ricavarne un compenso che, però, non è il guadagno derivante dalle “corse” effettuate ma quello della concessione in uso del taxi ad altro soggetto, che materialmente svolge il servizio di trasporto dei “clienti”.
Con i limiti di tale similitudine, dobbiamo considerare, quindi, che l’affitto di un’azienda è il contratto con il quale l’imprenditore – detto affittante o locatore – trasferisce temporaneamente in godimento ad un altro imprenditore – detto affittuario – la propria azienda (o un ramo della stessa), dietro il pagamento di una somma periodica (canone di affitto).
E’ bene chiarire che l’affitto di azienda non va assolutamente confuso con altre ipotesi di contratto, come ad esempio la locazione, poiché nell’affitto d’azienda l’immobile in cui viene esercitata l’impresa è solo uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili), legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà, che vengono dati in affitto per il conseguimento di un determinato risultato produttivo.
Oggetto del contratto sarà – dunque – sempre un complesso di beni unitariamente considerato – che abbia già una specifica ed attuale attitudine produttiva, tant’è che, se l’attività dell’impresa è già cessata, il contratto potrà riguardare solo la locazione o al più l’usufrutto di un complesso di beni ma non l’affitto d’azienda.
Analogamente se l’impresa viene iniziata dall’affittuario, non può parlarsi di affitto di azienda perché, quand’anche i beni o l’immobile facessero parte di un unico complesso potenzialmente produttivo, avrebbero valenza solo strumentale ma non sarebbero l’oggetto del contratto, mancando l’elemento essenziale dell’avviamento commerciale
Entro questi limiti, allora, si comprende che l’affitto d’azienda si rivela il contratto più adatto a realizzare diverse strategie come, ad esempio, l’esternalizzazione di alcune attività dell’impresa o per tentare lo sviluppo di nuove lavorazioni senza accollare il rischio ad una realtà produttiva che ha già un business consolidato o, ancora, per favorire l’avvicendamento generazionale senza ricorrere imprudenti scelte definitive o infine, nell’ambito di operazioni straordinarie, per dar corso al risanamento di imprese in crisi minimizzando i rischi dell’affittante e salvaguardando il valore aziendale dell’impresa affittata; in tali contesti, può essere previsto, in favore dell’affittuario, il diritto di opzione all’acquisto dell’azienda, a condizioni già determinate o con la possibilità di imputare in conto prezzo parte dei canoni versati a titolo di affitto.
Con l’affitto d’azienda si ha, dunque, solo un trasferimento temporaneo dell’azienda, che sarà autonomamente gestita – per la durata del contratto – da un soggetto diverso dal proprietario, al quale l’affittuario subentra diventando (temporaneamente) il nuovo imprenditore della stessa, con libero potere di gestione, seppur nel rispetto degli specifici limiti fissati dall’art. 2561 c.c.; in particolare:
- spettano all’affittuario i frutti e le altre utilità dell’azienda locata, come pure i costi di gestione;
- l’azienda deve essere gestita mantenendo il nome commerciale che la contraddistingue;
- la destinazione dell’azienda non può essere modificata;
- l’azienda dev’essere esercitata in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e dei beni strumentali di cui è dotata;
Se l’affittuario non adempie agli obblighi di cui s’è detto o cessi arbitrariamente la gestione dell’azienda (art. 1015 c.c.), ovvero non paghi il canone convenuto, il contratto può essere risolto.
Con l’azienda si trasferiscono all’affittuario anche tutti i contratti aziendali (attivi e passivi) ancora in corso (ad esempio il contratto di locazione), alle stesse condizioni originariamente pattuite e tale subentro si realizza automaticamente nei confronti dei terzi, senza che questi ultimi debbano acconsentirvi; peraltro le parti, nello stipulare il contratto di affitto d’azienda, possono stabilire quali contratti intendono trasferire e quali no.
In particolare deve precisarsi che tra i contratti che, in mancanza di diversa indicazione, sono trasferiti di diritto all’affittuario dell’azienda, oltre al già detto contratto di locazione ex 36 della Legge 392 del 1978 (che opera anche se nel contratto di locazione è previsto il divieto di cessione), i contratti di lavoro (art. 2112 c.c.), con conseguente conservazione dei diritti e con un regime di solidarietà debitoria tra proprietario ed affittuario, i contratti di fornitura, utenze, i contratti di leasing e quelli di assicurazione. Anche eventuali marchi, brevetti, o domini web dell’affittuario possono essere sfruttati dall’affittuario.
Infine, per quanto concerne i crediti e i debiti anche tributari – dell’azienda affittata o del suo titolare, essi non si trasferiscono all’affittuario insieme all’azienda, salvo che ciò sia espressamente previsto dalle parti nel contratto (art. 2112 c.c.).
In particolare, per quanto riguarda i debiti, l’affittuario subentra solo in quelli da lui contratti durante la gestione dell’azienda, mentre i debiti del proprietario della stessa, per essere esigibili dai creditori nei confronti dell’affittuario, come detto, devono risultare dal contratto di affitto ed essere annotati nelle scritture contabili obbligatorie.
Anche per i debiti tributari anteriori al trasferimento della gestione dell’azienda non è prevista alcuna responsabilità dell’affittuario (a differenza di quanto accade all’acquirente dell’azienda), non essendo applicabile all’affitto d’azienda l’art. 14 Digs. n. 472/1997.
In ragione di tale articolata disciplina, si comprende perché il contratto di affitto di azienda sia redatto per iscritto con la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata dal notaio e debba essere obbligatoriamente e tempestivamente iscritto nel Registro delle Imprese (art. 2556 c.c.).
Come s’è detto, all’affittuario è riconosciuto il diritto di gestire l’azienda disponendo a sua discrezione dei beni aziendali; al termine del contratto d’affitto pertanto, questa sarà, presumibilmente composta in parte anche da beni diversi rispetto a quelli originari. Onde verificare la differenza fra la consistenza iniziale e finale dell’azienda ed effettuare l’eventuale conguaglio (che dev’essere obbligatoriamente in danaro, art. 2561 c.c.), consuetudinariamente si provvede alla redazione di un inventario all’inizio e al termine dell’affitto. La norma in questione e la relativa giurisprudenza, viceversa, non riconoscono all’affittuario alcuna “indennità per l’accresciuto avviamento dell’impresa”, dato che è nello spirito del contratto che al termine dello stesso l’azienda rientri nella disponibilità del proprietario con il maggior valore eventualmente acquisito a seguito dell’esercizio dell’impresa da parte dell’affittuario.
Tuttavia un’indennità va riconosciuta all’affittuario (ex art. 1592 c.c.) per quel miglioramento apportato all’azienda che sia costituito dalla minor somma tra aumento del valore della stessa e le spese sostenute per tale incremento, non confluite nella determinazione del valore di singoli componenti.
La soluzione più opportuna resta comunque quella che, per evitare controversie, le parti disciplinino, già al momento della stipula del contratto d’affitto, l’eventuale remunerazione spettante all’affittuario per il maggior valore apportato all’avviamento e il criterio per la sua determinazione.
Sotto altro profilo deve essere segnalato che, il D. Lgs. 14/2019 stabilisce che l’eventuale apertura della liquidazione giudiziale (già definita fallimento) nei confronti del concedente non scioglie il contratto d’affitto d’azienda, così com’era invece previsto dall’art. 79 R.D. 267/1942.
Dunque la liquidazione giudiziale non è causa di scioglimento del contratto di affitto di azienda. Il rapporto di affitto gli sopravvive ed il curatore subentra nel contratto di affitto, a condizione che lo stesso sia opponibile ai creditori (cioè se, come sopra raccomandato è stato tempestivamente trascritto).
(SEGUE)