I conviventi di fatto collaboratori dell’impresa familiare ottengono finalmente una tutela completa che li parifica a coniugi, alla coppia unita civilmente, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 148 del 2024  ha dichiarato l’illegittimità di due norme che segnavano di fatto una discriminazione: l’articolo 230-bis, terzo comma, del Codice Civile che escludeva dall’impresa familiare il convivente di fatto e l’art. 230-ter del Codice Civile che riconosceva al convivente di fatto una tutela molto più ridotta.

La conseguenza è che i conviventi – che hanno reso apposita dichiarazione all’Anagrafe di residenza – collaboratori dell’impresa di famiglia potranno finalmente aprire le posizioni INPS e Inail. Gli enti, in applicazione della normativa ora dichiarata illegittima, non consentivano l’apertura delle posizioni mentre da tempo l’Agenzia delle Entrate riconosceva il pieno diritto alla suddivisione degli utili e al relativo pagamento delle imposte.

La Corte costituzionale ha accolto le questioni rilevando che, in una società profondamente mutata, vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa nazionale, sia della giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto.

 

Le dichiarazioni di Unione Artigiani

“È caduta l’ultima discriminazione che riguardava gli artigiani. Grazie alla Corte Costituzionale anche i conviventi di fatto collaboratori dell’impresa familiare potranno ora accedere alle tutele previdenziali e assistenziali da cui erano esclusi. Per tanti nostri titolari e per le loro famiglie, di qualunque tipo, ogni scelta di vita privata torna ad avere pari dignità anche dal punto di vista imprenditoriale”.

Marco Accornero, Segretario Generale di Unione Artigiani, commenta cosi la sentenza n. 148 del 2024 della Consulta che parifica i conviventi di fatto collaboratori della impresa familiare ai coniugi, alla coppia unita civilmente, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado, dichiarando l’illegittimità di due norme del Codice Civile (230 bis e 230 ter) nella parte in cui non prevedono come familiare anche il convivente di fatto e non riconoscono come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto stesso.

La conseguenza pratica è che i conviventi di fatto – che hanno reso apposita dichiarazione all’Anagrafe di residenza – collaboratori dell’impresa familiare, potranno finalmente versare i contributi presso Inps e Inail. I due enti, in applicazione della normativa ora dichiarata illegittima, non consentivano a questi soggetti l’apertura delle posizioni, così come confermato anche dalle risposta ufficiali INPS a nostri interpelli.

“Per effetto di questa situazione, ci siamo trovati di fronte a diverse storture. Ad esempio, i conviventi di fatto collaboratori delle imprese familiari versavano già regolarmente le imposte con pieno diritto alla suddivisione dei redditi ma venivano esclusi dalle tutele perché erano non previsti nel novero di parenti stretti previsti dal Codice Civile tra i collaboratori a pieno titolo delle imprese familiari stesse. Insomma – conclude Accornero – un pasticcio che ha fatto perdere milioni di Euro a tutto il sistema e che ora finalmente la Corte ha spazzato via. Ricordo che il mondo dell’artigianato e del piccolo commercio è composto per oltre l’80% da imprese familiari e che dunque l’impatto di questa sentenza riguarderà centinaia di migliaia di persone. Inps e Inail ora si adeguino immediatamente.”