da “il Giornale” – 19 dicembre 2018
Le tavole imbandite per Natale saranno arricchite da un regalo: la trasparenza, ovvero la possibilità di conoscere con esattezza se quello che stiamo per addentare è pane fresco o congelato e conservato.
Entra, infatti, in vigore oggi il decreto 131 del 1 ottobre 2018 che impone di distinguere in etichetta il pane confezionato che ha subito un «processo di congelamento o surgelazione» o che contiene additivi e conservanti, dal pane fresco.
Il «Regolamento recante disciplina della denominazione di panificio, di pane fresco e dell’adozione delle dicitura pane conservato» prevede specifiche prescrizioni in merito alla denominazione e alla modalità di esposizione in vendita. «Il pane che ha subito processi di surgelazione e congelamento o che contiene additivi chimici e conservanti – sottolinea Coldiretti – non potrà essere più venduto per fresco e dovrà obbligatoriamente avere una etichetta con la scritta conservato o a durabilità prolungata». Da oggi dunque si può chiamare «pane fresco» solo quello «preparato secondo un processo di preparazione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o surgelazione». Attenzione, per «processo di preparazione continuo» si intende un processo per il quale, dall’inizio della lavorazione alla messa in vendita al consumatore, non trascorrano più di 72 ore.
Soddisfazione arriva anche dai panificatori milanesi, che rappresentano con 737 panifici artigianali il 54 per cento del settore lombardo (1378 imprese artigiane). Un dato per altro che si dimostra in controtendenza rispetto ad altri settori perché in crescita del 5 per cento rispetto a soli cinque anni fa. La nostra provincia è quella che conta, secondo l’analisi dell’Unione degli Aartigiani di Milano su dati della Camera di Commercio Milano, Monza-Brianza e Lodi, il maggior tasso di giovani ovvero il 10 per cento contro l’8 per cento della media regionale e il maggior numero di titolari stranieri (243) sui complessivi 1525 panifici in tutta Italia. In linea con il dato nazionale, invece, le titolari donne che rappresentano il 26 per cento del totale. «Apprezziamo – spiega Stefano Fugazza, presidente dell’Unione Artigiani di Milano e panificatore – il regolamento che favorisce la scelta consapevole del consumatore, purtroppo però il decreto non fissa le espressioni ammesse, lasciando ampia discrezionalità ai produttori per descrivere quali processi di conservazione abbiano adottato». In sostanza, se qualcuno volesse giocare sull’ambiguità delle diciture o fare il furbo ha margine. «Inoltre – prosegue Fugazza – è del tutto assente l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di provenienza del semilavorato, cosa che impedisce la tracciabilità non consentendo di risalire all’origine del pane. Basti pensare ai prodotti da forno realizzati nei Paesi dell’Est europeo, dove le norme sono meno meno stringenti rispetto alle nostre riguardo ad additivi e conservanti».