Non è rara l’ipotesi in cui il lavoratore non si presenti al lavoro senza dare più notizie di se o senza giustificare l’assenza.

Questo comportamento viola l’articolo 1375 del codice civile, secondo cui Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.

Un dipendente che sparisce senza comunicare al datore di lavoro i motivi dell’assenza trasgredisce il principio di buona fede, non rispettando gli obblighi derivanti dal contratto di  lavoro e – di fatto –  danneggiando le legittime aspettative e gli interessi del datore di lavoro in ordine alla preordinata organizzazione dell’impresa e alla fornitura dei beni o dei servizi ai committenti.

È importante saper riconoscere un’assenza ingiustificata da una giustificata perché da essa derivano diverse conseguenze per il dipendente e per il datore di lavoro.

Un’assenza giustificata è quella che avviene per cause di forza maggiore o per motivi personali o familiari, purché sia comunicata al datore di lavoro e documentata adeguatamente.

Può essere dovuta a una malattia, a un lutto, a un matrimonio o a una convocazione giudiziaria.

Un’assenza ingiustificata è quella che avviene senza una causa legittima e senza comunicare al datore di lavoro né l’assenza né le motivazioni della stessa.

Può essere dovuta a una vacanza non autorizzata, a una protesta sindacale o a una semplice negligenza.

In caso di assenza ingiustificata il dipendente rischia di subire sanzioni disciplinari che possono arrivare fino al licenziamento per giusta causa e di perdere il diritto alla retribuzione e agli ammortizzatori sociali, In quanto datore di lavoro hai il diritto di contestare l’assenza ingiustificata e di chiedere il risarcimento del danno per le dirette conseguenze dell’ingiustificato rifiuto del lavoratore a rendere la prestazione contrattualmente prevista (inadempimento).

Tuttavia, possono capitare situazioni impreviste o difficili che impediscono al dipendente di comunicare la sua assenza o le sue motivazioni.

In ogni caso, prima di adottare qualsiasi provvedimento, è opportuno cercare di entrare in contatto con il dipendente e di stabilire cosa sia successo per chiarire eventuali malintesi e a mantenere un clima di fiducia e collaborazione tra le parti oltre ad evitare il radicalizzarsi delle rispettive posizioni e l’eventuale instaurazione del contenzioso.

Ecco, dunque, i passi da seguire per gestire una situazione di assenza ingiustificata, tenendo conto delle norme vigenti e dei principi di proporzionalità e buona fede:

  • Verificare l’effettiva assenza del dipendente e le sue eventuali giustificazioni;
  • Invitare il dipendente a fornire una spiegazione scritta entro un termine stabilito;
  • valutare la gravità dell’assenza e le circostanze del caso concreto;
  • adottare il provvedimento disciplinare più adeguato, rispettando le procedure previste dal contratto collettivo e dal codice disciplinare applicabili.

I provvedimenti possono essere:

  • richiamo verbale o scritto,
  • multa;
  • sospensione dal lavoro e dalla retribuzione;
  • licenziamento per giusta causa.
  • Comunicare al dipendente il provvedimento adottato e le sue motivazioni decurtando dallo stipendio (o dal T.F.R.) la retribuzione corrispondente ai giorni di assenza ingiustificata.

Resta da valutare se richiedere al dipendente un risarcimento per il danno subito, se quantificabile e dimostrabile.

Una volta stabilito che si tratta effettivamente di un’assenza ingiustificata e avviato il procedimento disciplinare, ci si potrebbe chiedere se, a seguito del perdurare dell’assenza ingiustificata, il dipendente possa essere considerato dimissionario.

Equivalenza della prolungata e perdurante assenza ingiustificata alle dimissioni del lavoratore

L’assenza ingiustificata è equiparabile alle dimissioni volontarie quando un dipendente si assenta dal lavoro senza giustificazione, senza più rendersi reperibile e senza comunicare le sue intenzioni.

In tal caso si può ipotizzare che abbia rinunciato al rapporto di lavoro, in questo caso si parla di dimissioni per assenza ingiustificata o dimissioni tacite.

Si tratta di una forma di recesso unilaterale del contratto di lavoro da parte del dipendente che non richiede una manifestazione esplicita della sua volontà, ma si desume dal suo comportamento concludente.

Si rammenta, tuttavia, che le dimissioni per assenza ingiustificata non sono automatiche e scontate; perché siano valide e legittime, devono verificarsi alcune condizioni:

  • l’assenza deve essere ingiustificata, cioè non motivata da cause legittime (malattia, infortunio, permessi) o autorizzata dal datore di lavoro;
  • l’assenza deve essere prolungata e continuativa, cioè superiore a un certo periodo di tempo stabilito dalla legge o dal contratto collettivo. In genere si considera un’assenza prolungata quella superiore a 6 giorni lavorativi consecutivi;
  • l’assenza deve essere volontaria e consapevole, cioè il dipendente deve essere a conoscenza dei suoi obblighi contrattuali e delle conseguenze del suo comportamento.

 Non si può, dunque, parlare di dimissioni tacite se il dipendente è impossibilitato a comunicare la sua assenza per cause di forza maggiore o di caso fortuito  (Le cause di forza maggiore comprendono in genere le seguenti situazioni, quando queste si manifestino in qualità o quantità non prevedibili usando dell’ordinaria diligenza: sisma, alluvione, frana, maremoto, uragani, sommosse, guerre ecc..; il caso fortuito, invece, descrive un concetto di imprevedibilità, è costituito cioè da un avvenimento imprevedibile ed eccezionale che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto. mentre la forza maggiore implica una situazione di irresistibilità).

Non rappresentano pertanto ipotesi di forza maggiore o di caso fortuito la deliberata assenza dal domicilio, la difficoltà di comunicazione, l’incidente d’auto, la malattia durante le ferie  (Cass. n.4023/1988; n.8513/1984; Cass. n.14776/2014; Cass. n. 11142/2015)

L’assenza, inoltre, deve essere un completo abbandono del posto di lavoro, cioè il dipendente deve manifestare – anorchè tacitamente – la sua intenzione di non riprendere il rapporto di lavoro.

Non si può parlare di dimissioni tacite se il dipendente ha solo trascurato o ritardato la comunicazione della sua assenza o se ha manifestato la sua disponibilità a rientrare.

Questa impostazione  ha trovato conferma nella sentenza n. 20 del 27/05/2022 del Tribunale di Udine, che ha confermato l’orientamento già espresso dallo stesso Tribunale con la precedente sentenza n. 106 del 30/09/2020.

In sostanza, il Tribunale ha ritenuto che l’assenza ingiustificata prolungata e continuativa di un dipendente, accompagnata dalla manifesta volontà di essere licenziato per poter beneficiare della Naspi, costituisce una forma di dimissioni per fatti concludenti, con conseguente risoluzione automatica del rapporto di lavoro.

Come già accennato, per evitare controversie e contenziosi è consigliabile inviare al dipendente al suo domicilio indicato nel contratto di lavoro una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno si chiede di chiarire la sua situazione lavorativa entro un termine stabilito.

Se il dipendente non risponde o conferma la sua volontà di recedere dal contratto puoi considerare le sue dimissioni tacite e comunicargliele con una seconda lettera raccomandata con ricevuta di ritorno.

Più recentemente la Corte di Cassazione con sentenza del 16 maggio 2023, n. 13383 ha affermato che, sebbene la detenzione in carcere possa rappresentare un motivo astrattamente idoneo a giustificare l’assenza, il lavoratore, per rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede, deve provvedere ad una tempestiva comunicazione onde porre l’azienda in condizione di riorganizzare il servizio.

In particolare la Corte Suprema ha ritenuto che “risultava irrilevante il fatto che il direttore amministrativo avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore che costui era agli arresti, perché l’informazione era incompleta e non idonea a consentire all’azienda di assumere i provvedimenti necessari alla sostituzione del dipendente, in difetto di informazioni sulla ragione dell’arresto, il carattere o meno temporaneo della misura, la durata, insomma le notizie minime utili per assumere le conseguenti determinazioni

In definitiva, una comunicazione priva dei requisiti minimi per svolgere la sua funzione, in quanto resa verbalmente da terzi, in modo assolutamente incompleto, non è idonea a giustificare un’assenza protrattasi per lungo tempo senza alcuna notizia ufficiale consistente necessariamente in  una comunicazione scritta esaustiva dei motivi dell’assenza e della durata,, non bastando, ad esempio, una semplice telefonata o una generica e mail

Assenza ingiustificata e dimissioni volontarie: come funziona la Naspi

Accenniamo ora alle condizioni che legittimano la fruizione della Naspi in questi casi

La Naspi è la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego, ossia la prestazione economica che spetta ai lavoratori dipendenti che perdono involontariamente il posto di lavoro.

Per avere diritto alla Naspi, il lavoratore deve soddisfare alcuni requisiti di contribuzione e di durata del rapporto di lavoro ma – soprattutto, – essere privo di occupazione per cause indipendenti dalla propria volontà.

Il requisito della perdita involontaria del posto di lavoro è esclusa de i casi in cui il lavoratore si dimette volontariamente o risolve consensualmente il rapporto di lavoro con il datore.

In questi casi, infatti, si presume che il lavoratore abbia rinunciato al posto di lavoro per propria scelta e non per cause esterne.

Come già detto, alle dimissioni volontarie è equiparata la perdurante assenza ingiustificata.

Per quanto riguarda le assenze ingiustificate prolungate e continuative, esse possono essere interpretate come una forma di dimissioni per fatti concludenti o come una condotta colpevole passibile di licenziamento per assenza ingiustificata (con l’eccezione di quando dimostra che le sue assenze erano giustificate da cause legittime o da forza maggiore. In questo caso, può avere diritto alla Naspi se soddisfa gli altri requisiti).

Come funzionano le dimissioni volontarie

Le dimissioni volontarie sono l’espressione della volontà del lavoratore di interrompere il rapporto di lavoro con il datore di lavoro, sono un atto unilaterale che non richiede il consenso del datore di lavoro.

Per essere valide e legittime, le dimissioni volontarie devono rispettare tre regole:

  • devono essere comunicate per iscritto o con altro mezzo idoneo a comprovarne l’esistenza e la data; dal 2015 è obbligatoria la comunicazione telematica delle dimissioni attraverso il portale Cliclavoro o i patronati. Questa procedura serve a prevenire le “dimissioni in bianco”, cioè le dimissioni firmate dal lavoratore al momento dell’assunzione o in un momento successivo e utilizzate dal datore di lavoro per interrompere il rapporto di lavoro senza giusta causa o giustificato motivo;
  • devono essere libere e consapevoli. Non devono essere frutto di costrizione, inganno, errore o violenza da parte del datore di lavoro o di terzi. In caso contrario, le dimissioni sono annullabili entro 180 giorni dalla loro comunicazione;
  • devono rispettare il termine di preavviso stabilito dalla legge o dal contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro. Il preavviso serve a consentire al datore di lavoro di trovare una sostituzione al lavoratore che si dimette. Se il lavoratore non rispetta il preavviso, deve pagare al datore di lavoro un’indennità sostitutiva pari alla retribuzione che avrebbe percepito nel periodo di preavviso non prestato.

Le dimissioni volontarie escludono l’applicazione delle procedure previste per i licenziamenti collettivi o individuali per giustificato motivo oggettivo, che richiedono autorizzazioni preventive e comunicazioni alle autorità competenti e Il licenziamento avvenuto per assenza ingiustificata oltre i termini previsti dal contratto sarà considerato come dimissioni da parte del lavoratore.

Pertanto, non sarà possibile ricevere la NASpI; è dunque essenziale che all’assenza ingiustificata segua il provvedimento datoriale del licenziamento per assenza ingiustificata.

Tanto è stabilito con la nuova norma prevista dal DDL 2023 in materia di lavoro con la quale si mira a porre fine allo sfruttamento di una lacuna normativa che permetteva ai lavoratori di assentarsi illegittimamente per indurre il datori di lavoro a licenziarli in modo da poter conseguire il trattamento di disoccupazione.

La novità, appunto,  stabilisce che, in caso di assenze ingiustificate che proseguano oltre il termine previsto dal CCNL applicato, il rapporto di lavoro si considera risolto per assenza ingiustificata del lavoratore.

In questa ipotesi, infatti, quest’ultimo noni ha diritto alla NASpI ed il datore di lavoro è esentato dal relativo contributo (ticket licenziamento).

 

Avv. Renato Ragozzino

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