E’ di questi giorni il deposito della motivazione di una recente sentenza del Giudice amministrativo (T.A.R. Lombardia n. 272/2023 del 28.06.2023,  pubblicata il 04.09.2023) con la quale la giurisprudenza ha affrontato nuovamente l’annosa e controversa questione del livello “minimo” salariale e del CCNL applicabile.

Secondo gli uffici dell’Ispettorato del lavoro, al termine del procedimento ispettivo si è ritenuto legittimo e possibile ordinare al datore di lavoro di adeguare il trattamento salariale dei propri lavoratori a quello del CCNL di categoria ritenuto comparativamente “più rappresentativo”, indipendentemente da quello stipulato dalla organizzazione datoriale alla quale il datore di lavoro ha aderito.

Tale orientamento, a lungo condiviso dalla giurisprudenza (cfr. Corte Cost. n. 226/1998 e n. 51/2015) ha comportato la sistematica disapplicazione di quei contratti che, eventualmente, fossero stati stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro con altre (ancorchè altrettanto rappresentative) sigle sindacali dei lavoratori quando stabilivano condizioni salariali più vantaggiose per gli imprenditori.

La questione, ad esempio, si è posta ricorrentemente con riferimento alla scelta datoriale di aderire al CCNL “Portieri e custodi” piuttosto che al CCNL “Multiservizi”.

Su questo tema il legislatore poi ha imposto (art. 3 L. 3 Aprile 2001 n. 142) alle imprese cooperative di riconoscere ai soci lavoratori un trattamento complessivo minimo non inferiore a quello previsto dal CCNL comparativamente più rappresentativo del settore

In pratica, in presenza di una pluralità di contratti collettivi relativi alla medesima categoria le imprese, queste ultime – soprattutto se esercitate in forma cooperativa – sono state tenute ad applicare ai lavoratori (o soci – lavoratori) il trattamento economico complessivo non inferiore a quello dettato dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali ritenute più rappresentative a livello nazionale nella categoria, a prescindere dal contratto effettivamente stipulato dal datore di lavoro e il sindacato dei lavoratori.

Il trattamento economico previsto dai contratti ritenuti più rappresentativi, in buona sostanza, è stato chiamato a  fungere a da parametro “esterno” per l’individuazione della soglia della retribuzione “minima” dovuta al lavoratore, da considerare idonea e proporzionata ai sensi dell’art.36 Cost.

Tuttavia, in mancanza di una predeterminazione legale dei “perimetri” delle categorie, della legittima “competizione” tra i diversi sindacati di una medesima categoria e dell’abitudine di redigere i CCNL definendone il campo di applicazione in modo estensivo e poco preciso (con l’invalsa abitudine di  indicare nell’elenco delle attività ricomprese nel proprio ambito le cd “attività connesse” o i “servizi complementari e accessori”) si sono spesso verificati “conflitti di competenza” quando le diverse categorie presentavano aree di parziale coincidenza (come accade, ad esempio,  nel caso di CCNL della piccola industria e quello dell’artigianato) o quando un contratto individua una categoria contrattuale più ristretta e specifica di quelle già esistenti (come il CCNL della distribuzione organizzata rispetto al CCNL del terziario).

In questi casi il criterio della rilevanza prioritaria della diffusione applicativa o della maggior rappresentatività sindacale mostra tutti i suoi limiti.

Altre criticità emergono nell’individuazione delle sigle sindacali da ritenersi “più rappresentative”: quali sono? Quelle “generaliste” col maggior numero di aderenti su base nazionale, quelle monocategoriali o quelle che hanno maggior diffusione in uno specifico ambito territoriale?

Nell’incertezza il datore di lavoro come può orientarsi?

Ecco che allora non può che condividersi l’opinione espressa dal TAR Lombardia nella sentenza citata in apertura dell’articolo, laddove afferma che “l’individuazione del CCNL applicabile ai dipendenti è una scelta discrezionale del datore di lavoro che, salvo i casi di accordi collettivi con previsioni contrarie alla legge o riferibili a categorie del tutto disomogenee, non è sindacabile”.

Resta con ciò ribadito che la rappresentatività delle organizzazioni datoriali artigiane legittima la valida ed efficace stipulazione – per conto dei loro iscritti – dei CCNL di categoria con le parti sindacali impegnate nella trattative ancorchè tra queste eventualmente non figurino quei sindacati che a quelle trattative non abbiano partecipato e a quei contratti non abbiano aderito.

 

 

Avv. Renato Ragozzino

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