POSSIBILITÀ E LIMITI DELLA VIDEO SORVEGLIANZA. IL PUNTO DEL NOSTRO UFFICIO LEGALE
A cura dell’Avv. Renato Ragazzino, Legal Team di Unione Artigiani
Una questione ampiamente dibattuta è quella dell’adozione di strumenti di video sorveglianza in azienda e di geolocalizzazione all’esterno dei locali aziendali.
L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce che “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”.
La norma precisa che questi strumenti “possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali” oppure preventivamente autorizzata dall’Ispettorato del Lavoro.
Va tuttavia chiarito che le cose sono però cambiate nel 2015 con il D.Lgs. n. 23/2015 noto come Jobs Act secondo il quale al datore di lavoro è senz’altro consentito l’installazione degli strumenti di controllo per finalità organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro ovvero di tutela del patrimonio aziendale; qualora l’impianto di videosorveglianza o il videocitofono abbiano un’esclusiva funzione di sicurezza, è obbligatorio esporre i relativi cartelli di” area video sorvegliata“.
Tipico esempio è l’installazione di telecamere per prevenire eventuali furti in azienda; al riguardo la Cassazione (Cass. 27 maggio 2015 n. 10955) ha ritenuto legittimo l’utilizzo di sistemi di controllo – cosiddetti occulti – volti a prevenire eventuali illeciti del lavoratore, a condizione che tali sistemi non mirino ad attuare un controllo a distanza della prestazione lavorativa ma solo a tutelare il patrimonio aziendale.
Diremo quindi che prima di poter installare un impianto di videosorveglianza sul luogo di lavoro, di norma è necessario avere uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali (se presenti in azienda) o l’autorizzazione rilasciata dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro, previa apposita istanza.
Per ottenere tale autorizzazionee devono ricorrere esigenze organizzative e produttive ovvero di sicurezza del lavoro (da estendere anche al concetto di tutela del patrimonio). La richiesta va fatta, a cura del titolare dell’impianto, utilizzando (preferibilmente) l’apposito modulo messo a disposizione dalla DTL sul sito www.lavoro.gov.it accedendo al link Uffici Territoriali. A conclusione delle relative valutazioni tecniche, effettuate sulla base della documentazione allegata all’istanza, l’Ufficio rilascia alla ditta il provvedimento di autorizzazione individuando, nello stesso, opportune condizioni di utilizzo del sistema che hanno potere vincolante per l’azienda; tuttavia la Cassazione ha precisato che ciascun datore di lavoro può installare telecamere anche segrete o nascoste, quando vi sia un giustificato motivo, fondato sul valido sospetto che il dipendente possa compiere atti illeciti nei confronti del medesimo.
Va inoltre precisato che il consenso espresso dai lavoratori in materia di privacy riguarda l’applicazione degli artt. 23 e 24 del D.Lvo N° 196/2003. Esso non ha nulla a che fare con la procedura prevista dall’art. 4, comma 2, della Legge N° 300/1970 sulla videosorveglianza, che indica nell’accordo con le rappresentanze sindacali aziendali eventualmente presenti in azienda (o con l’Ispettorato del lavoro) la strada maestra per la legittimazione dell’impianto, viceversa l’informativa consegnata ai dipendenti non è tra i documenti da allegare all’istanza.
L’orientamento giurisprudenziale tende ad identificare come luoghi soggetti alla normativa in questione anche quelli esterni dove venga svolta attività lavorativa in modo saltuario o occasionale (ad es. zone di carico e scarico merci). Sarebbero invece da escludere dall’applicazione della norma quelle zone esterne estranee alle pertinenze della ditta, come ad es. il suolo pubblico, anche se antistante alle zone di ingresso all’azienda.
Va inoltre precisato che il mantenimento dell’impianto a circuito chiuso all’interno della sede aziendale è una delle condizioni più importanti cui si ricorre al fine di evitare che si possano liberamente visionare le immagini da postazione remota mediante l’impiego di PC, tablet o telefoni cellulari. Si può derogare a tale divieto nel caso il datore di lavoro abbia affidato alle Forze dell’Ordine (Questura o Carabinieri), oppure ad un Istituto di Vigilanza privato, il servizio di videosorveglianza mediante collegamento dell’impianto con la centrale operativa di tali soggetti. Anche il coinvolgimento del personale dipendente, nelle occasioni in cui sia necessario accedere alla visione od allo scarico delle immagini registrate, è una delle condizioni imprescindibili previste nell’autorizzazione. Tale coinvolgimento si garantisce, di fatto, prescrivendo la condivisione tra datore di lavoro e dipendenti della password di accesso alle registrazioni. In merito al posizionamento ed all’orientamento delle telecamere, poi, si assicura che, ad eccezione dei locali aperti alla clientela, per i quali non sono previste particolari restrizioni, negli ambienti di lavoro non vengano inquadrate postazioni fisse o zone destinate alla esecuzione dell’attività lavorativa. Sono ammesse invece telecamere che sorveglino porte, finestre o zone di passaggio come i corridoi.
Per quanto attiene alla conservazione delle registrazioni l’attuale normativa in tema di videosorveglianza fa riferimento al Provvedimento del Garante della Privacy dell’8 aprile 2010. In particolare, il punto 3.4 del Provvedimento stabilisce la durata della conservazione delle immagini registrate, fissando il limite standard a 24 ore, eventualmente estendibili a 48.
STRUMENTI DI GEOLOCALIZZAZIONE
Altra questione sempre di grandi interesse è quella dell’uso del geolocalizzatore in ambito lavorativo.
Il potere di vigilanza del datore di lavoro è una conseguenza diretta del potere direttivo che gli spetta in quanto titolare dell’impresa. Egli ha la facoltà di controllare, anche a distanza, l’operato dei propri dipendenti al fine di accertarsi sulla loro correttezza nello svolgimento dell’attività affidata.
Gli strumenti utilizzati dal lavoratore per la propria prestazione (pc, tablet, cellulari, ecc.) e quelli di registrazione degli accessi e delle presenze (il classico badge) possono quindi essere liberamente utilizzati dal datore per ottenere dati e informazioni attinenti all’attività lavorativa dei dipendenti, ma solo se:
- è stata data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti stessi e l’effettuazione dei controlli;
- è stata rispettata la normativa in tema di privacy;
- lo strumento utilizzato dal lavoratore per adempiere la prestazione non viene appositamente modificato per controllare il lavoratore.
Per fare l’esempio del Gps dell’auto aziendale, le apparecchiature che utilizzano questo sistema vengono considerate strumenti impiegati dal lavoratore per rendere la propria attività lavorativa se essenziali o funzionali per l’esecuzione dell’attività stessa o se il loro utilizzo è imposto da specifiche disposizioni normative di carattere legislativo o regolamentare (ad esempio: sistemi GPS per il trasporto di portavalori superiore a 1.500.000 euro).
In tali casi, per la loro installazione, non è richiesto alcun accordo sindacale o alcuna autorizzazione da parte dell’Ispettorato territoriale del lavoro. Se, invece, il sistema di geolocalizzazione dei veicoli non è direttamente preordinato all’esecuzione della prestazione, ma utilizzato per rispondere ad esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro, è necessario sia l’accordo sindacale (o in sua assenza l’autorizzazione dell’Ispettorato), sia la garanzia di riservatezza per i dipendenti, come richiesto più volte dal Garante della privacy .
In buona sostanza, il datore è libero di utilizzare i dati del Gps dell’auto aziendale senza dire alcunché solo nel caso in cui il sistema sia necessario per lo svolgimento dell’attività del dipendente. Altrimenti, dovrà far riferimento ad un accordo sindacale o ad un’autorizzazione dell’Itl sempre nel rispetto della privacy del lavoratore.
Appurato che il datore, in certe circostanze e a determinate condizioni, può controllare a distanza il lavoratore utilizzando gli strumenti messi a disposizione del dipendente per lo svolgimento della sua attività, il controllo con il Gps dell’auto può servire per ricavare i dati che possono condurre al licenziamento ed essere usate in una causa in tribunale
Si consideri, ad esempio l’installazione generalizzata del GPS su tutti i mezzi aziendali utilizzati o in dotazione dei lavoratori. Secondo il Supremo Collegio, il monitoraggio mediante geolocalizzazione dei lavoratori non è giustificato se finalizzato ad ottenere un controllo pressoché illimitato sui lavoratori. Certamente la funzione del gps è importante: si pensi, in caso di furto, alla possibilità di localizzare la vettura rubata, tuttavia è innegabile che può esservi un utilizzo distorto, per uno scopo diverso da quello della salvaguardia del patrimonio aziendale. In tal caso, il ricorso ad apparecchiature in grado di rilevare l’ubicazione dei dipendenti integra una forma invasiva di monitoraggio e pertanto viola l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. Tuttavia Con la sentenza n. 26968/16 la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha giudicato legittimo il licenziamento di un dipendente sulla base dei dati ottenuti con il GPS installato sull’auto aziendale..
Nel caso di specie, la Corte ha tenuto conto del fatto che il veicolo messo a disposizione dal datore di lavoro fosse uno strumento necessario per le mansioni del ricorrente, il cui costo era interamente coperto dal datore. Questo aspetto rendeva comprensibile che questi volesse – soprattutto nel contesto di crisi economica degli ultimi anni – adottare misure per poter gestire razionalmente i mezzi e accertare che questi venissero utilizzati per l’effettivo svolgimento delle mansioni professionali e non per altri scopi. Infatti, in una flotta composta da una decina di veicoli, l’uso inappropriato di questi mezzi può rappresentare un pregiudizio significativo per il datore di lavoro.
Alla luce di questo, i giudici hanno concluso che, nel caso di specie, l’uso di un dispositivo GPS da parte del datore di lavoro fosse un mezzo di controllo legale che non rientra nell’ambito della sorveglianza a distanza e che non viola la privacy o la dignità umana del ricorrente o degli altri colleghi posti nella stessa situazione. Pertanto, i dati raccolti da questo dispositivo sono validi e giustificano la contestazione disciplinare ed il successivo licenziamento
Quello che dimostra la Corte, quindi, è che le questioni relative all’utilizzo di sistemi di geolocalizzazione sui mezzi aziendali debbono essere valutate caso per caso in ragione del necessario bilanciamento tra gli interessi in gioco.
Analogamente il problema si pone con riferimento ai lavoratori che ricevono in dotazione, dal datore, smartphone, tablet, dotati di GPS.
La tematica dei sistemi di geolocalizzazione dei lavoratori mediante tali dispositivi è stata oggetto di interventi anche da parte dell’Ispettorato del Lavoro e del Garante per la protezione dei dati personali
L’INL ha ribadito la necessità che tali strumenti siano effettivamente funzionali a rendere la prestazione nel senso che, in loro assenza, la prestazione non sarebbe possibile, solo in tale ipotesi possono essere installati dal datore di lavoro senza preclusioni ma se non risultano tali, possono essere installati solo previo accordo con la rappresentanza sindacale ovvero previa autorizzazione dell’INL o delle rappresentanze sindacali.
In conclusione, con la circolare n. 2/2016, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha stabilito che i sistemi di geolocalizzazione rappresentano un elemento «aggiunto» agli strumenti di lavoro, e, salvo specifici casi, possono essere installati sull’auto aziendale solo previa autorizzazione sindacale o amministrativa; in buona sostanza il dipendente deve comunque essere sempre informato della presenza del dispositivo di controllo a bordo del mezzo ma:
- Se il tracker GPS è fondamentale o funzionale allo svolgimento dell’attività lavorativa, o addirittura previsto dalla legge (per esempio, per il trasporto di valori superiori a 1,5 milioni di euro), non è necessario alcun accordo.
- Se l’installazione del GPS avviene per esigenze produttive, assicurative, di sicurezza sul lavoro, allora l’accordo è necessario.
E’ importante quindi valutare con attenzione le singole ipotesi prima di procedere all’installazione dei sistemi di videosorveglianza e di geolocalizzazione nell’ambito dell’organizzazione aziendale.
Avv. Renato Ragozzino
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