Il committente risponde dell’infortunio occorso a un lavoratore autonomo ove sia dimostrato che egli abbia omesso di verificare la sua idoneità tecnico-professionale specie in relazione a situazioni di oggettiva pericolosità immediatamente percepibile.

 

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Ci riporta alla mente la lettura di questa sentenza uno dei principali obblighi che ha la figura del committente in materia di salute e sicurezza sul lavoro, sia che affidi, ex art. 89 comma 1 lett. b) del D. Lgs. n. 81/2008, l’effettuazione di un opera edile da realizzarsi per suo conto sia che affidi dei lavori, servizi o forniture, in qualità di datore di lavoro ex art. 26 comma 1 dello stesso D. Lgs., ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi da svolgersi all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa o nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, e cioè quello di verificare, ancor prima di affidare i lavori, la loro idoneità tecnico professionale e la loro capacità organizzativa arealizzare i lavori o i servizi stessi.

 

In questa circostanza la Corte di Cassazione è stata interessata proprio per decidere sul ricorso presentato da un committente di un’opera edile, proprietario di un capannone, condannato nei due primi gradi di giudizio per l’infortunio mortale accaduto ad un lavoratore autonomo caduto dalla copertura dello stesso a seguito della rottura di una delle lastre in vetroresina nel mentre stava eseguendo dei lavori di rifacimento del tetto, ha rigettato il ricorso e ha ribadito a proposito che il committente risponde dell’infortunio occorso al lavoratore autonomo ove sia dimostrato che egli abbia omesso di verificare la sua idoneità tecnico-professionale in relazione ai lavori da compiersi, specie in situazioni di oggettiva pericolosità, immediatamente percepibili.

 

Avendo sostenuto altresì il committente a sua difesa che la responsabilità di quanto accaduto era da addebitare non al locatore ma al conduttore della struttura concessa in fitto i cui dipendenti erano presenti sul posto al momento dell’evento e che nulla avevano fatto per evitare che ciò avvenisse, la suprema Corte ha precisato in merito che nel campo della prevenzione degli infortuni, per quanto riguarda la individuazione delle responsabilità in materia di salute e sicurezza sul lavoro ,vige comunque il principio in base al quale, ove vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo giuridico impostogli dalla legge, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l’altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto.

 

IL FATTO, L’ITER GIUDIZIARIO, IL RICORSO PER CASSAZIONE E LE MOTIVAZIONI

La Corte di Appello ha confermata la penale responsabilità di un committente per il reato di omicidio colposo commesso con violazione della normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro in danno di un lavoratore autonomo mentre ha revocato, in parziale riforma della sentenza di primo grado, la pronuncia di condanna resa nei confronti del legale rappresentante di una società conduttrice di un capannone ad uso artigianale nella sua qualità di responsabile civile.

All’imputato era stato contestato, quale committente dei lavori di rifacimento della copertura di un capannone, di proprietà dello stesso ma concesso in locazione alla suddetta società, di avere cagionato la morte del lavoratore per colpa generica e specifica, quest’ultima consistita nella violazione degli artt. 2087 cod. civ.; 90 comma 9 lett. a), 26 comma 3-ter e 148 del D. Lgs. n. 81/2008, avendo omesso di verificare l’ idoneità tecnico-professionale dello stesso lavoratore autonomo, nonché di redigere il documento di valutazione dei rischi e di predisporre idonee misure di protezione individuali atte a garantirne l’incolumità.

 

Il lavoratore, durante la lavorazione alla quale era stato adibito e riguardante la riparazione della copertura metallica a falde inclinate del capannone, issatosi sul tetto non calpestabile, mentre era intento a tagliare con una smerigliatrice angolare la parte finale delle lastre di copertura, a causa delle sollecitazioni provocate dal suo stesso peso, sfondava una delle lastre in vetroresina, precipitando da un’altezza di circa 4,50 metri decedendo sul colpo. I giudici di merito, nelle due sentenze conformi, avevano ritenuta dimostrata la penale responsabilità dell’imputato in ordine all’infortunio occorso al lavoratore,ritenendo integrate le violazioni in contestazione.

 

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore, articolando tre motivi di doglianza. Il motivo principale dell’atto di appello ha riguardato la mancata valutazione da parte del giudice di primo grado di tutte le prove a suo favore addotte dalla difesa nel corso del giudizio. La Corte di Appello infatti, secondo il ricorrente, pur riconoscendo la conflittualità dei rapporti tra lui e la persona offesa nell’ambito delle trattative intercorse per il rifacimento del tetto, ha ritenuto egualmente che il contratto fosse stato stipulato. Tale risultato, quindi, sarebbe stato frutto di una errata interpretazione non essendo mai intervenuto un accordo avente ad oggetto l’incarico all’operaio per il rifacimento del tetto. Il convincimento contrario maturato dalla Corte di merito è stato frutto di mere presunzioni e distorsioni interpretative delle testimonianze raccolte. L’unico fatto verificatosi, invece, era stato rappresentato da una trattativa sostanziatasi in alcune discussioni mai giunte a conclusione. Del resto, ha sostenuto il ricorrente, l’assenza di un accordo era stata confermata da tutti i testi escussi, uno dei quali aveva anche chiaramente riferito che il lavoratore aveva deciso autonomamente di occuparsi del rifacimento del tetto del capannone senza avvertirlo. Non essendovi quindi prova dell’accordo ipotizzato tra lui e il lavoratore, l’unico soggetto nei cui confronti poteva realmente profilarsi un giudizio di responsabilità era proprio la società conduttrice del capannone i cui dipendenti erano presenti in loco nel giorno dell’infortunio unitamente al coordinatore ed al responsabile della sicurezza, in quanto l’obbligo di verificare la presenza delle caratteristiche tecniche ed antinfortunistiche dei locali incombeva, in riferimento all’attività che al suo interno veniva svolta, sul conduttore e non sullocatore.

 

Il lavoratore infortunatosi quindi, secondo l’imputato, non doveva essere presente nel luogo in cui si è verificato l’infortunio e la responsabilità per il suo ingresso nel capannone doveva essere riferita al titolare della società che aveva preso in affitto i locali; era questa, pertanto, presente sui luoghi con proprio personale anche qualificato, tenuta a vigilare ed impedire l’accesso del lavoratore. L’imputato, quale locatore del bene, aveva quindi rispettato tutti gli obblighi previsti dalle disposizioni codicistiche e aveva consegnato l’immobile esente da vizi e assicurato il pacifico godimento del bene per cui non poteva essergli addebitata alcuna responsabilità per un fatto che si poneva al di fuori della propria sfera dicontrollo.

 

LE DECISIONI IN DIRITTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Tutti i motivi di doglianza proposti dal ricorrente sono stati ritenuti manifestamente infondati dalla Corte di Cassazione. La stessa ha ritenuto dimostrato che il ricorrente avesse incaricato il lavoratore autonomo di effettuare lavori di rifacimento del tetto del capannone di sua proprietà. Il committente, secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, non aveva verificata la capacità tecnica del commissionario, non aveva effettuato alcun controllo sull’adozione da parte di questi dei mezzi e delle cautele necessarie per eseguire il lavoro in sicurezza, pur essendo consapevole che l’intervento doveva essere eseguito in quota su un solaio non calpestabile e inidoneo a sostenere il peso della persona offesa.

Dalla Corte di Appello è stato ritenuto inoltre che il committente avesse effettivamente incaricato il lavoratore autonomo di effettuare il lavoro di rifacimento del tetto del capannone; la stessa ha richiamato la testimonianza resa dai testi uno dei quali, persona del tutto estranea al contesto in cui è maturata la vicenda, aveva riferito che l’imputato e la vittima avevano iniziato insieme il lavoro cooperando perché la persona offesa potesse raggiungere il tetto del capannone con l’uso di una scala.

Secondo un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, ribadito in plurime pronunce che hanno riguardato fattispecie analoghe a quella di cui al procedimento, ha precisato la Sezione IV “il committente risponde dell’infortunio occorso al lavoratore autonomo ove sia dimostrato che egli abbia omesso di verificare la sua idoneità tecnico-professionale in relazione ai lavori da compiersi, specie in relazione a situazioni di oggettiva pericolosità, immediatamente percepibile”; lo stesso infatti ha l’obbligo, in materia di infortuni sul lavoro, di verificare l idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati.

 

I richiami contenuti nel ricorso alla violazione delle disposizioni del codice civile, inoltre, ha aggiunto la Suprema Corte, sono eccentrici e inidonei a consentire una diversa interpretazione della vicenda. Nel caso in esame, infatti, non si è posto un problema di responsabilità del conduttore per danni cagionati a terzi dal bene preso in locazione e le riflessioni della difesa sono risultate del tutto estranee al tema della contestazione, che hanno riguardato invece la responsabilità del committente dei lavori.

 

La Corte di Cassazione ha inoltre aggiunto che comunque la concorrente responsabilità di altri eventuali titolari di posizioni di garanzia in relazione all’infortunio occorso al lavoratore non incidono sulla responsabilità del committente, che permane in ogni caso. In materia di reati colposi, infatti e particolarmente nel campo della prevenzione degli infortuni, ha ricordato la Corte di Cassazione, vige il principio per cui, ove vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l’altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto.

Del pari inammissibile ha ritenuto infine la Suprema Corte la censura di cui al terzo motivo di ricorso posto che l’estromissione del responsabile civile non ha avuta alcuna incidenza sulla posizione dell’imputato. Il ricorso è stato in definitiva ritenuto dalla Suprema Corte inammissibile e alla declaratoria della sua inammissibilità è seguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, al versamento, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma di 3000 euro in favore della Cassa delle ammende, non essendo stata ravvisata una assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità.

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