LA RESPONSABILITÀ PER L’INFORTUNIO NELL’UTILIZZO DI UNA MACCHINA MARCATA CE. UNA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

 

 

Il datore di lavoro è responsabile delle lesioni patite da un lavoratore dipendente allorquando abbia consentito l’utilizzo di una macchina la quale, pur conforme alla normativa CE, per come assemblata e in pratica utilizzata lo abbia esposto a rischi.

 

Viene ribadito in questa sentenza emanata dalla Corte di Cassazione con riferimento a un ricorso inoltrato da un datore di lavoro, condannato nei due primi gradi di giudizio, perché ritenuto responsabile dell’infortunio mortale accaduto ad un escavatorista sbalzato fuori dal posto di guida a seguito del ribaltamento del mezzo sul quale stava operando. Un principio più volte richiamato dalla suprema Corte in precedenti espressioni e cioè che il datore di lavoro è responsabile delle lesioni patite da un lavoratore allorquando abbia consentito l’utilizzo di una macchina che, pur astrattamente conforme alla normativa CE, lo abbia esposto comunque a rischi per come è stata assemblata ed in pratica utilizzata.

 

Avendo il datore di lavoro sostenuto a sua difesa che l’accaduto si era verificato perché l’operatore del mezzo aveva tenuto un comportamento negligente e imprudente, la suprema Corte, come ormai si legge spesso nelle sentenze emanate a seguito dei ricorsi che le pervengono dalle Corti territoriali, ha richiamato il noto principio introdotto dalla sentenza n. 38343/2014, la cosiddetta sentenza Thyssenkrupp, in base alla quale, in tema dì prevenzione degli infortuni, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.

Nel caso in esame la Corte di Cassazione ha ritenuto particolarmente accurate le considerazioni analitiche formulate sia dalla Corte di merito che, ancor più, dal giudice del Tribunale e, dichiarando inammissibile il ricorso, ha sostenuto che, pur riconoscendo che il lavoratore infortunato si era comportato in modo negligente nella conduzione dell’escavatore tenendo aperta la portiera della cabina, sollevando il braccio del macchinario, scendendo su un pendio scosceso anziché sull’apposita stradina, fosse stata decisiva la mancanza di una cintura di sicurezza all’interno dell’escavatore, di vecchia generazione e che se il lavoratore l’avesse indossata le conseguenze del ribaltamento sarebbero state certamente meno gravi, non avendo permesso la stessa che l’operatore venisse sbalzato all’esterno della cabina, come poi era invece avvenuto.

 

Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale, all’esito di un giudizio abbreviato, aveva condannato il datore di lavoro di una azienda alla pena ritenuta di giustizia per il reato p. e p. dall’art. 589 cod. pen., contestato come commesso in danno di un lavoratore deceduto con violazione di norme sullaprevenzione degli infortuni sul lavoro.

All’imputato era stato addebitato, nella sua qualità di rappresentante legale dell’azienda e datore di lavoro dell’infortunato, di avere violato le disposizioni antinfortunistiche di cui agli articoli 71, comma 2 lettera b) e 87 comma 2 lettera c) del D. Lgs. n. 81/2008, oltre ad avere violato l’art. 2087 del codice civile, permettendo ai dipendenti di utilizzare un escavatore mobile inadeguato (per vetustà e mancanza di cinture di sicurezza) al lavoro in una cava, quale quella nella quale era avvenuto il sinistro, in occasione del quale l’escavatore condotto dall’infortunato, a causa della conformazione del terreno, si era ribaltato proiettando all’esterno il lavoratore, il quale aveva riportato nell’occorso gravi lesioni che, alcuni mesi dopo, ne avevano cagionato il decesso.

La Corte di merito, pur riconoscendo che il lavoratore si era comportato in modo negligente nella conduzione dell’escavatore (tenendo aperta la portiera della cabina, sollevando il braccio del macchinario, scendendo su un pendio scosceso anziché sull’apposita stradina ed omettendo di sbloccare l’asse dell’ escavatore), ha ritenuto, in conformità a quanto argomentato dal Giudice di primo grado, che fosse stata decisiva la mancanza di una cintura di sicurezza all’interno dell’escavatore, di vecchia generazione, un modello del 1996; ciò inquanto, ove il lavoratore avesse indossato la cintura, le conseguenze del ribaltamento sarebbero state certamente meno gravi, poiché la cintura allacciata non avrebbe permesso che lo stesso venisse sbalzato all’esterno della cabina, come invece era avvenuto.

 

L’imputato ha ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello sostenendo che non vi era stata alcuna violazione delle disposizioni prevenzionistiche nel porre a disposizione del lavoratore un escavatore privo di cintura di sicurezza, posto che per esso risultava rilasciato certificato con dichiarazione di conformità CE e che lo stesso ispettore del lavoro, intervenuto a seguito dell’incidente, aveva riconosciuto che il rischio di ribaltamento del mezzo era stato valutato dall’imputato. Il ricorrente ha altresì evidenziato il comportamento scorretto del lavoratore nella conduzione del macchinario perché, benché escavatorista esperto, aveva affrontato una ripida discesa con il braccio dell’escavatore alzato e con l’asse bloccato, commettendo grossolani errori e così aumentando il rischio che il mezzo si ribaltasse. Il ricorrente ha quindi concluso nel suo ricorso sostenendo che l’abnormità del comportamento del lavoratore aveva avuto valore interruttivo del nesso causale tra il comportamento a lui addebitato e l’evento letale.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. Secondo la stessa sono risultate particolarmente accurate le considerazioni analitiche formulate sia dalla Corte di merito che, ancor più, dal primo giudice nel ritenere che la condotta del lavoratore fosse stata certamente imprudente e negligente, ma comunque non abnorme e che il lavoratore fosse necessariamente a conoscenza dell’inadeguatezza dell’escavatore per le operazioni in fase di espletamento presso la cava gestita dalla ditta del suo datore di lavoro.

 

La suprema Corte ha richiamato in primo luogo, come già fatto dai giudici dì merito, il principio, affermato in particolare dalla cosiddetta sentenza Thyssenkrupp n. 38343/2014, in base alla quale, in tema dì prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta deldatore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Ed è evidente che, avviando i suoi dipendenti ad eseguire operazioni di scavo, con un escavatore privo di cintura di sicurezza, in una cava caratterizzata da terreno accidentato e tale da cagionare un pericolo concreto di ribaltamento della macchina, il ricorrente era certamente consapevole del rischio cui esponeva i lavoratori. Pertinente quindi è risultato, al riguardo, il richiamo del primo Giudice al condivisibile principio secondo cui “il datore di lavoro è responsabile delle lesioni patite dall’operaio, allorquando abbia consentito l’utilizzo di una macchina, la quale, pur astrattamente conforme alla normativa CE, per come assemblata ed in pratica utilizzata abbia esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello poi in concreto realizzatosi”.

E’ del pari evidente, ha così concluso la Corte di Cassazione, sotto il profilo dell’assenza di elementi di eccentricità della condotta del lavoratore rispetto all’area di rischio governata dal datore di lavoro, che nel caso in esame il rischio introdotto dal lavoratore con il suo comportamento indubbiamente imprudente e negligente non potesse, tuttavia, dirsi eccentrico rispetto alle operazioni a lui affidate dall’imputato e, dunque, al rischio che quest’ultimo doveva governare, a nulla rilevando che il lavoratore stesso avesse scelto di percorrere un pendio ripido anziché la stradina che conduceva all’interno della cava. E’ risultato pertanto chiaro, in conclusione, che nel caso in esame non vi è stata una interruzione del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento occorso al suo dipendente.

Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione è conseguita pertanto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende.

Gerardo Porreca

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 5628 del 9 febbraio 2023 (u.p. 26 gennaio 2023) -Pres. Piccialli – Est. Pavich – Ric. T.R.. – Il datore di lavoro è responsabile delle lesioni patite da unlavoratore dipendente allorquando abbia consentito l’utilizzo di una macchina la quale, pur conforme alla normativa ce, per come assemblata e in pratica utilizzata lo abbia esposto a rischi.

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