Reti di imprese per l’export. 1) Risolvono i problemi delle Piccole Medie Imprese?

Per molte PMI sino ad oggi poco presenti all’estero, l’internazionalizzazione sta diventando l’ultima via percorribile. Allo stato attuale, poche ulteriori ottimizzazioni dei costi e delle strutture produttive sono possibili, ed il grado di competizione sul mercato interno è elevatissimo.
Restano i mercati esteri. Questi sono stati visti negli ultimi dieci anni dalle PMI scarsamente internazionalizzate più come bacini di manodopera e capacità produttiva a basso costo che come mercati di sbocco: basti pensare alle de-localizzazioni nei paesi dell’est o del nord Africa. Ma de-localizzare oggi, all’interno di una strategia di ulteriore abbattimento dei costi di produzione per reggere la competizione sul prezzo del mercato interno non è una via percorribile, perché richiede investimenti e tempi che le PMI non hanno più a disposizione.
Il fattore tempo oggi è un fattore critico nella scelta di un imprenditore o di un manager: si cerca uno sbocco sui mercati esteri per far quadrare il budget dell’anno e per dare una prospettiva, una strategia di medio periodo all’azienda in un momento di forte difficoltà. Ma i mercati esteri richiedono investimenti, tempo, competenze ed energie, ben al di sopra di quanto a disposizione della maggior parte dei nostri imprenditori e dei nostri manager.
Il fattore competenza è un altro fattore critico per le PMI italiane, che spesso dispongono di poco personale che parla inglese o un’altra lingua straniera al di fuori dell’ufficio estero, e che non è culturalmente preparato ad adattarsi rapidamente e a gestire contemporaneamente molti scenari competitivi differenti.
Competere sui mercati esteri è una soluzione efficace per combattere la crisi che investe il mercato italiano: tutti gli studi pubblicati in questi anni dimostrano che reggono meglio le aziende che dispongono di quote consistenti di fatturato estero. O che sono capaci di investire sui mercati esteri per aprire nuovi canali di sbocco, compensando i cali di fatturato del mercato interno con i nuovi fatturati realizzati all’estero. O che riescono ad abbattere i costi producendo all’estero per essere maggiormente competitivi sul mercato. Va da se che in momenti di crisi è meglio disporre di più opportunità o alternative produttive e commerciali, per poter concentrare gli sforzi sul mercato al momento più recettivo e per spalmare su più mercati lo sforzo competitivo.  A maggior ragione in questa crisi, che vede contrapposte alle difficoltà dei mercati tradizionali europei e nord americani l’effervescenza dei mercati emergenti, siano essi nell’est europeo, nel sud est asiatico, nel sud America o altrove.
Nelle grandi imprese la presenza sui mercati esteri è un fatto acquisito ormai da decenni, e la competizione è diventata naturalmente globale sin da quando sono cadute le barriere doganali nella maggior parte dei paesi nel mondo e sin da quando la rivoluzione digitale ha accorciato le distanze e le differenze culturali. Discorso diverso per le piccole medie imprese: alcune hanno investito sui mercati esteri per la naturale vocazione dei loro prodotti, o all’interno di una precisa strategia di lungo termine; molte hanno continuato a sfruttare le grandi potenzialità del mercato interno, considerando il mercato estero come una opportunità da cogliere quando si presentava, con clienti o distributori acquisiti alle fiere di settore o grazie alla volontà e capacità di un export manager determinato.
Va considerato che il fattore dimensione è  critico quando si compete sui mercati esteri, ed è una fonte di difficoltà per le aziende italiane. Le imprese che solo oggi si aprono ai mercati esteri per combattere la crisi hanno di solito fatturati tra 5 e i 25 milioni di euro, e sono guidate da un imprenditore di prima o seconda generazione. Le aziende sotto i 5 milioni di fatturato hanno grosse difficoltà a competere sui mercati esteri a causa della limitatezza delle risorse economiche a disposizione per investimenti, a meno che non dispongano di un prodotto unico o fortemente innovativo che sia richiesto e competa facilmente su qualsiasi mercato. Le aziende sopra i 25 milioni di fatturato hanno spesso già fatto il salto verso i mercati esteri, grazie alla possibilità di effettuare investimenti significativi e grazie alla necessità di distribuire su più mercati la propria capacità produttiva.
Esiste un metodo a disposizione di queste PMI per competere efficacemente sui mercati esteri: è la strada delle aggregazioni e delle alleanze con altre imprese. Negli ultimi dieci anni si sono succedute leggi che hanno incentivato e favorito anche fiscalmente le fusioni aziendali, le joint venture, i distretti economici, la creazione di consorzi, di associazioni temporanee d’impresa, e ultimamente di contratti di rete d’impresa. Le agevolazioni alle aggregazioni sono abbondanti, sia a livello nazionale che europeo: tutto tende a favorire la collaborazione tra aziende. Se l’unione fa la forza, se la creatività, la capacità, la dedizione e la flessibilità sono le maggiori qualità delle nostre imprese, se la dimensione è il punto debole, questo va combattuto favorendo le aggregazioni aziendali o le collaborazioni tra aziende, più o meno strutturate. Si è partiti con leggi che favorivano fiscalmente le fusioni, una forma di aggregazione molto forte, e dati gli scarsi risultati si è proseguito con leggi che favorivano collaborazioni sempre meno strutturate, che garantissero massima autonomia alle imprese pur all’interno di un qualche accordo di collaborazione giuridicamente riconosciuto e codificato.
Con le reti di imprese infatti si risolvono i maggiori problemi che le Piccole Medie Imprese incontrano sui mercati esteri :
  • si è in grado di dedicare al progetto un manager di rete competente sui mercati esteri;
  • si raggiungono le dimensioni necessarie per effettuare investimenti commerciali e di marketing consistenti;
  • si possono strutturare reti logistiche e di assistenza tecnica a costi competitivi, distribuendo ed assistendo contemporaneamente i prodotti di tutti i soci;
  • si mettono in comune esperienze acquisite nel tempo su molti mercati dai partecipanti alla rete;
  • si concentra l’attività di ogni singolo socio della rete su pochi mercati, coordinando su questi mercato le attività degli altri soci.
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